L’Unitalsi Lombarda in videoconferenza con Mons. Antonio Napolioni, Vescovo di Cremona
“Fate questo in memoria di me”
di Silvano Sala
Premettiamo anzitutto che l’intervento di monsignor Antonio Napolioni segue i due precedenti fatti da monsignor Daniele Gianotti, vescovo di Crema (il 4 aprile) e da monsignor Paolo Martinelli, vicario episcopale di Milano per la vita consacrata maschile e la pastorale scolastica (l’11 aprile).
In questo momento di emergenza sanitaria, nel quale anche gli incontri spirituali sono impossibili, l’Unitalsi Lombarda e i suoi dirigenti hanno pensato ad un ciclo di videoconferenze per mantenere vivi, nel limite del fattibile, i contatti con i propri aderenti.
Ecco che oggi, 18 aprile, la parola viene data a monsignor Antonio Napolioni, vescovo di Cremona, che approfondisce per noi il tema evangelico : “Fate questo in memoria di me”. La coordinatrice Graziella Moschino, rilevando che sono in atto più di cento collegamenti, dà a tutti il benvenuto in questo nostro difficile cammino nell’epidemia, lieti che si ripresenti l’appuntamento con la catechesi settimanale. Infine, con un premuroso augurio al relatore, da parte dell’assistente regionale monsignor Roberto Busti, per la sua cessata positività al virus, mons. Napolioni afferma “ora tocca a me, e a voi ascoltare la parola di Dio”. Il tema della catechesi ci appartiene come esperienza della spiritualità (pellegrinaggio e vita quotidiana).
“Giubileo e le Sante Croci. Cosa sarà la nostra vita eterna se non un Giubileo?” Si ricollega quindi all’evangelista Luca quando, al cap. 22, narra i gesti di Gesù durante l’Ultima Cena: “Poi preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: ‘Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in ricordo di me’”. Al gesto si accompagna un invito ineludibile: “Fate (…)” D’altra parte in queste settimane il Signore è più ricercato. “Chi pensate che io sia?” Dice papa Francesco che “tutta la vita di Gesù è segno del suo mistero”. Egli è più universale del virus. Il crocifisso sulla parete dell’ospedale rimanda a Cristo che si ammala, Cristo che cura (…) Diventa “memoriale di una nuova creazione”. “’Ricordati di me’, dice il ladrone sulla croce; ma nella vita è Gesù che dice questo: non si sottrae. Chi porta Gesù nel cuore, lo ricorda: non è una nostalgia repressa”. “L’Eucarestia”, continua mons. Napolioni, “è il memoriale del mistero di Cristo, la memoria efficace”. A questo punto il vescovo allude alla morte, in questi tempi, di tante persone lontane dai propri cari, senza il conforto dei Sacramenti. “Ogni uomo, ogni vita, ha un nesso con Dio- (…) Chi mai ha previsto la propria Passione, chi l’ha sorbita come un calice, se non Gesù?”
L’oratore ricorda le parole di Paolo VI quando diceva: “L’umanità sofferente è un sacramento umano. Oggi lo scopriamo, domani lo attueremo”. E prosegue la sua catechesi: “La messa è a un tempo il memoriale, quanto il sacrificio della morte (…) Noi offriamo sempre il medesimo Agnello: il sacrificio è sempre uno solo”. Per poi affermare che coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato. Scriveva don Tonino Bello che “purtroppo la nostra vita cristiana non incrocia il Calvario (…) ci manteniamo agli antipodi della sua logica”. Ma oggi questo Calvario si è fatto trovare lungo le autostrade e noi ci siamo andati a sbattere. Dopodiché il relatore sottolinea che, alla Comunione, il sacerdote porge l’eucaristia con le parole : ‘Il corpo di Cristo’: non si divide il corpo consacrato da chi lo assume. Ricorda che don Carlo Gnocchi, già cappellano degli alpini, con gesto non solo poetico in un suo libro raccontava la gioia di un alpino che scriveva alla mamma come quel giorno, mancando acqua, avesse dato al sacerdote celebrante la sua borraccia colma d’acqua. “L’acqua della mia borraccia è diventata sangue di Cristo. Senza la mia borraccia il sacerdote non avrebbe potuto dire messa”.
“’Fate (…)’: ma l’azione non nasce dal nostro fare, ma da Cristo stesso. Egli comanda di fare quello che Lui stesso ha fatto”. Ci accorgiamo che siamo impegnati a fare come Gesù, anche nei servizi. “Una Chiesa non solo sacerdotale, ma anche diacona”. (…) “C’è tanto da fare, tutto da fare”, conclude il vescovo, “Anche il più piccolo gesto partecipa di questo mistero”. Poi riporta un pensiero di papa Francesco: va bene che in questo frangente ci sono le messe televisive, però occorre che il popolo si riunisca per creare la Comunione sacramentale. Al fondo di tutto questo vi è un fatto rilevante: “E’ essenziale che la morte non fosse distrutta solo da Dio, ma anche dal Figlio”. Rammenta le parole di Benedetto XVI: “Egli ci attira dentro di Sé”. Ma ci voleva il Coronavirus per ritornare a questa sorgente di riflessione? A protezione di un contagio di polemiche, siamo obbligati a constatare che gli anziani sono i più colpiti, ma sono i giovani (sanitari e volontari) a salvare tante vite umane. “Fate (…)” Mons.Napolioni sottolinea che “se tutto parte dalla memoria di un altro e ciò porta a riconoscere che la mia volontà è una volontà ‘figlia’, questo non mi fa sentire solo” e ritiene che, nel rapporto fra la volontà umana e la volontà di Dio, si riconosca la preminenza del bene comune che evidenzia una volontà superiore. Termina quindi esprimendo una convinzione che è condivisa da molti: “Meno Chiesa e più Cristo”: una Chiesa umile in un mondo fragile.
Dopo una interessante serie di interventi da parte degli unitalsiani collegati, ai cui interrogativi il vescovo replica con calore, viene posto in evidenza il confronto difficile con il dopoguerra, quando la gente ha saputo essere protagonista fattiva della ricostruzione. Il vescovo conclude con un piccolo, ma significativo, episodio che ha alimentato la sua esistenza in questi giorni di contagio: non la telefonata del Papa, certo anch’essa importante, ma quella di un chierichetto di dodici anni che, ogni sera, s’informava sulla salute dei sacerdoti e del vescovo e assicurava di pregare per loro. Ecco dunque l’essenziale: la preghiera. Sia essa la nostra compagna fedele nella giornata.
Il presidente regionale Vittore De Carli ha concluso il collegamento rilevando che, in questo 2020, solo Dio potrà riaprirci la strada per il pellegrinaggio. Forse Caravaggio sarà la risposta “al cemento armato”. Ha infine ricordato i più di cento sacerdoti immolatisi, in questo ultimo periodo, nella realizzazione della loro vita pastorale, affidandoli anche alle nostre preghiere.