Lourdes e la pandemia
Conferenza zoom Unitalsi Lombarda – 23 novembre 2020
Introduzione
La pandemia da Covid-19 ha travolto tutto e tutti come un’onda d’urto che ha sommerso l’intera umanità. Espressioni enfatiche come “niente sarà come prima” o “andrà tutto bene” stanno perdendo forza e lasciano spazio a sentimenti diversi. Siamo passati dalla noncuranza allo sgomento e poi alla paura, alla fatica, al dolore, allo strazio. Abbiamo avvertito ammirazione per medici e infermieri e tutti coloro che si sono adoperati e si stanno adoperando ancora per curare, salvare, sostenere e rassicurare.
Su tutti ha dominato e domina un sentimento di solidarietà che ancora una volta ci ha stupito, allargato il cuore: un sentimento che non vorremmo veder svanire man mano che diminuisce il pericolo, e speriamo prima possibile. Come inciderà questa stagione 2020, dopo la quale – a detta di molti – nulla sarà come prima?
L’oscurità, la solitudine, l’abbandono, il dolore, la sofferenza, la malattia e la morte, il senso di impotenza, lo strazio, la disperazione, hanno interrogato molti su Dio e, come i discepoli sulla barca evocata dal Papa, in quel tremendo venerdì 27 marzo sul sagrato della Basilica di San Pietro, anche noi abbiamo avvertito l’intensità della drammatica domanda posta a Gesù che dorme: «Non ti importa che siamo perduti? ». È dunque possibile sviluppare qualche riflessione per ripensare il modo con cui vivere l’esperienza di Lourdes? Non è facile tentare una risposta esaustiva, perché a tutt’oggi non vediamo ancora la fine. Tuttavia non possiamo esimerci dal riflettere.
La pandemia a Lourdes
È noto a noi tutti: il diffondersi del virus e le conseguenti misure adottate hanno portato alla decisione di chiudere completamente il santuario. I cancelli sono stati chiusi dal 17 marzo al 16 maggio 2020. Attualmente il santuario è nuovamente chiuso. Tuttavia, rispetto alla prima chiusura, la porta di san Giuseppe è sempre aperta per permettere ai pochi pellegrini di entrare e di recarsi alla basilica del rosario dove è stata di nuovo proposta l’adorazione, la possibilità di confessarsi, due sacerdoti sono sempre disponibili tuta la giornata abbiamo scese anche le reliquie di Santa Bernadette. Inoltre è possibile recarsi ai rubinetti per prendere l’acqua. La grotta è chiusa ai fedeli, ma lodevolmente il rettore ha riproposto la cosiddetta “Preghiera continua alla grotta“, assicurata dai cappellani, dalle otto del mattino fino alle venti della sera. Una preghiera che si è leva al cielo, offrendo a Maria le infinite intenzioni di preghiera che ci giungono da ogni parte del mondo. Di fronte a questa realtà, è possibile trarre qualche insegnamento?
L’incontro tra la Vergine e Bernadette
Dalla prima apparizione fino alla diciottesima, il rapporto che si instaura tra Bernadette e la Bella Signora, è esclusivamente personale. Via via, lungo il corso dei mesi, alla grotta si aggiungeranno prima decine di persone, poi centinaia fino a raggiungere le migliaia. D’altro canto, la relazione tra le due giovani donne, sarà un “tu per tu”, sempre unico e personale. In occasione della terza apparizione, “Aquerò” dirà a Bernadette: «Volete farmi la grazia di venire qui per quindici giorni?». Si tratta di andare alla grotta. Bernadette obbedisce a questa richiesta e lì sperimenta una grande pace e abbondante felicità. Infatti a Lourdes, da nessuno era considerata e valorizzata, perché analfabeta, povera, insignificante. Alla grotta invece si sente felice, si sente a casa. Perché? Perché lì è accolta, amata, compresa, rispettata! Inoltre vive una grande pace interiore, segno di una relazione serena, appagante, compiuta. Sta qui il segreto di Lourdes: sperimentare la pace interiore e la gioia, proprio lì, davanti a quella nuda grotta!
Infatti Bernadette testimonierà che proprio lì, la Vergine la «guardava come una persona guarda un’altra persona», cioè con rispetto e considerazione. Ciò indica la presenza di uno sguardo unico, attento a valorizzare la presenza dell’altro. Infatti, pur essendovi molte persone, talvolta ingombranti, la relazione è segnata da un’estasi che esprime comunione, intensità e amicizia. Lourdes è anzitutto caratterizzata da questo primo dato: la relazione piena ed appagante tra due persone, in quel luogo chiamato la “tana dei maiali”. «Lourdes ha l’unicità di essere un luogo in cui Maria parla a tu per tu… la storia di due ragazze più o meno della stessa età, così familiare e naturale che ci sembra strano che una delle due sia addirittura la Vergine Maria… Ella si rivolgeva a Bernadette, analfabeta, con una tale rispetto, da darle del “voi”». Ne sono testimonianza anche i dialoghi intercorsi, i sorrisi ed i segreti che Bernadette ricevette e che mai rivelò ad alcuno.
Pur di fronte alle difficoltà che sempre più aumentavano e le impedivano di recarsi alla grotta, lei sentirà forte l’impulso di recarsi là e niente e nessuno riuscì a trattenerla. Bernadette dirà più volte: «La grotta è il mio cielo», un luogo di pace, di incontro, di gioia e di raggiunta felicità. Non dovremo forse (anche noi) ripartire da lì?
Quale insegnamento trarre?
Prendo lo spunto da quanto mi chiedeva al telefono qualche giorno fa S. E. Mons Roberto Busti: siamo quasi spaventati da questo deserto, simile a quello che Mosè ha dovuto attraversare con il popolo sceltosi da Dio e che oggi vediamo nel luogo dell’Apparizione e intorno a noi. Come possiamo affrontare al meglio questo tempo?
a. Un primo insegnamento: partendo dall’esperienza vissuta ci si rende conto in maniera evidentissima che nulla può essere dato per scontato, neppure i gesti più minuscoli e quotidiani. Siamo altrettanto consapevoli che il rischio di un’inerzia strutturale, della semplice ripetizione di ciò cui siamo abituati è sempre in agguato. Giustamente ci si ripete: «Nulla sarà più come prima».
Utilizzo un’icona biblica, oggi siamo nella situazione dell’esodo. Il popolo d’Israele, dopo la celebrazione della Pasqua, la liberazione dalla schiavitù d’Egitto, dopo il passaggio del Mar Rosso, vive per ben quarant’anni l’esodo, un periodo di prove terribili, di tentazioni, di smarrimento e dubbi riguardanti la fedeltà e la presenza del suo Dio. Giustamente la prova per la necessaria purificazione, onde divenir liberi da ogni sorta di nostalgia e sguardo al passato, per diventare liberi per servire e riconoscere Dio con cuore e mente rinnovata. È il tempo dell’esodo, cioè dall’uscita di alcune certezze che erano o forse sono ben consolidate.
Ancor più, siamo sotto il segno dell’esilio. Come per l’antico Israele deportati dalla loro terra, ormai senza casa, senza tempio, senza altare e senza esercizio del sacerdozio.
Questa è stata l’esperienza iniziale della chiusura totale. Privati di tutto ciò che ci era abituale e scontato.
A nostra volta, certi delle nostre sicurezze e abitudini, abbiamo celebrato e vissuto senza troppi intoppi. Tutto ci era naturale e ovvio. Abbiamo organizzato i nostri pellegrinaggi, le celebrazioni, le feste insieme agli ammalati, i volontari, gli accompagnatori. L’organizzazione era ormai ben avviata e le persone ben presenti. Improvvisamente tutto si è bloccato e, di conseguenza, tutto va ormai ripensato. Ecco l’esodo, cioè l’uscita, che siamo chiamati a compiere.
Allora, come possiamo affrontare al meglio questo tempo? Ripiegandoci, lamentandoci, suscitando ancor più la paura? Questa è la modalità umana che non condurrà a nulla. Per noi, uomini e donne di Fede, questo tempo ci invita fortemente a rinnovare la Fede e la speranza, non nel senso “speriamo di cavarcela”, ma credendo ancor più che Dio è lì presente, fedele, attento e non abbandona.
Oserei dire che si tratta di una messa alla prova della speranza, non banalmente, ma seriamente. C’è un salmo che dice: «Per l’insulto dei miei avversari sono infrante le mie ossa; essi dicono a me tutto il giorno: “Dov’è il tuo Dio?“» (42,11). Forse non solo gli avversari, ma anche noi ci chiediamo: «Dov’è il nostro Dio?». Lo stesso salmo prosegue dicendo: «Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio» (42,6).
b. Una seconda domanda: Come possiamo attingere ancora al messaggio di Dio e come possiamo portare avanti la sua Parola? Ecco un tentativo di risposta.
Pur essendo un incontro unico ed esclusivo, quello tra Bernadette e la Vergine, fin da subito, alla grotta di Massabielle, arrivarono i malati. Ne danno testimonianza le cronache e i resoconti del tempo. Con le prime guarigioni, la voce si sparse e sempre più affluirono persone sofferenti alla ricerca di un miracolo. In tal modo, Lourdes si è sempre più caratterizzata e distinta per la presenza dei malati e l’organizzazione dei pellegrinaggi. L’Unitalsi ne è la evidente testimonianza. Ora forse è necessario rivedere tale impostazione. Ci si dice che Lourdes senza i malati non è Lourdes ed è vero. Tuttavia, questo momento critico ci obbliga a ritrovare il messaggio principale. La sfida sta proprio qui: ritornare lì, alla grotta! Lì non siamo solo presenti per rendere un servizio al malato, giustamente lodevole e necessario, ma per porci davanti a Dio, rivedendo la nostra esistenza, approfondendo la nostra Fede; non a Lourdes per servizio o lavoro, ma per un nuovo incontro e un rinnovato ascolto. Attualmente alla grotta non si sente il chiasso disturbante delle chiacchiere, ma bensì il brusio discreto della preghiera.
Inoltre, possiamo essere alla grotta con tutto ciò che siamo, la totalità della nostra esistenza, impastata di bene e di male, di luce e di tenebra. Alla grotta c’è una sorgente e il fango che imbratta il nostro volto può essere lavato e noi essere purificati, sanati e salvati. Qui sta la posta in gioco per ritrovare ragioni fondate per ritornare in pellegrinaggio alla grotta.
Non è forse questa la conversione che la pandemia oggi ci chiede? Non si disdegna la preparazione e l’organizzazione, ma ora sarà opportuno puntare su un aspetto più personale. Sono in pellegrinaggio a Lourdes per il mio cammino di Fede! Lì puoi essere te stesso, senza infingimenti (finzione, simulazione) o mascheramenti inutili, puoi essere accolto nella tua povertà, come fu delicatamente accolta Bernadette. Lì sei figlio accolto da una Madre che ha reso visibile un lembo del cielo, lì puoi essere libero dalle tue paure e confidare nel Padre che abbraccia e perdona. Quante volte molte persone ci testimoniano che qui hanno vissuto momenti significativi del loro percorso spirituale, ritrovando pace interiore, forza nelle difficoltà, discernimento per le loro scelte di vita (e anche tanti confratelli sacerdoti).
Quindi un aspetto molto personale dell’itinerario di Fede, fatto di ascolto e di preghiera! Si tratta di un messaggio a tu per tu. Anche questo è Lourdes. Senza nessun tipo di distrazione anche il servizio qualche volta potrebbe distrarci
c. Una terza domanda: in questi tempi in cui non possiamo raggiungere la grotta con i nostri ammalati e pellegrini, come possiamo mantenere vivo il messaggio di Lourdes?
Durante l’ottava apparizione, precisamente il 24 febbraio 1858, Maria dice:«Penitenza, penitenza, penitenza» e «Pregate Dio per la conversione dei peccatori». Ora, la pandemia non è un castigo, ma sicuramente un appello alla conversione. In tal caso, l’appello è veramente globale: non solo perché investe tutti, ma perché investe la vita nel suo insieme e in tutte le sue dimensioni. La conversione non è semplicemente un cambiamento e tanto meno un aggiustamento: si tratta di riorientare l’esistenza personale e ecclesiale in direzione di Cristo, secondo le linee tratteggiate dal Vangelo, assecondando l’azione dello Spirito Santo.
Scrive Papa Francesco: «Il Signore ci chiama a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è […]. È anche il tempo della creatività, nel quale lasciar operare più che mai lo Spirito Santo […]. È un tempo propizio per trovare il coraggio di una nuova immaginazione del possibile, con il realismo che solo il Vangelo può offrirci».
Ho trovato questa significativa testimonianza che desidero condividere con voi. Mons. Calogero Peri, vescovo di Caltagirone, è stato contagiato da Coronavirus ed ha trascorso in ospedale più di un mese, sperimentando l’esile distanza tra la vita e la morte. Scrive così: «Dall’esperienza della malattia è stato per me importante e di grande aiuto, il desiderio di essere solidale con la paura di tutti, di essere vicino al disorientamento di tutti, di non sentirmi e di non far sentire nessuno solo, cercando sempre di vivere tutto con la coscienza che, però, dipendeva da me scegliere in che modo volessi vivere quello che di giorno in giorno si presentava. Non potevo sapere in anticipo quale direzione avrebbe preso la mia malattia, se quella della vita o quella della morte, però stava a me, in qualunque strada si fosse incamminata, decidere come viverla e soprattutto per chi viverla».
È possibile tenere vivo il messaggio di Lourdes: la conversione alla quale siamo chiamati è quella dello stare accanto, non in termini di organizzazione o forse di prestigio, ma bensì con la presenza silenziosa e discreta. Non risolvo sempre il problema dell’altro, del malato, del diversamente abile, ma posso essergli accanto come una presenza ascoltante, che infonde speranza e lascia liberi. La penitenza, in tal caso, è che a mia volta mi riconosca piccolo, malato e bisognoso di guarigione. Non è forse vero che talvolta il mio “io” è ingombrante e seminatore di divisione? Lourdes mi chiede di uscire da tale condizione e non è poco. Ricordiamoci della piccolezza di Bernadette, ma in verità della sua grandezza.
Conclusione
«Venite in disparte, in un luogo solitario e riposatevi un po‘» (Mc 6,31). Gesù aveva mandato i suoi discepoli in missione ed essi, ritornando, raccontano quanto accaduto. Allora Gesù chiede loro di ritirarsi con lui dopo le fatiche della predicazione. È necessario lasciare le folle e ritrovare la relazione feconda con il Maestro. Prima della pandemia noi tutti eravamo ben impegnati nel nostro abituale lavoro, nei nostri impegni, nell’organizzazione frenetica. La vita sembrava non doversi mai più fermare. Di colpo tutto si è bloccato: non solo abbiamo dovuto fermarci, ma ancor più siamo stati confinati, quasi murati nelle mura delle nostre case. Tale esperienza vissuta, non va solo riconosciuta, va soprattutto interpretata. Se non si sa dove andare, non è facile trovare la voglia e la forza di uscire e di mettersi in cammino. Se non si spera in qualcuno che ci attende e in un luogo dove approdare, è difficile buttarsi alle spalle abitudini e sicurezze e darsi un orizzonte nuovo. Se si pensa di avere capito tutto di se stessi, dell’umanità e persino di Dio, nulla inquieta, nulla attrae e tutto appare scontato. Abbiamo bisogno di esercitare la pazienza, come virtù. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai.
Come ben dice Papa Francesco in una sua omelia: «Perché peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi […]. Gli eventi belli e tristi richiedono discernimento e profondità di riflessione per poterci insegnare qualcosa di buono. Se, invece, sono affrontati con superficialità, ci lasciano tali e quali, anzi fanno di noi delle persone ripiegate su se stesse e sulle proprie convinzioni, piuttosto che aperte a quello che Dio ci chiede qui ed ora […]. L’esperienza della pandemia ha lasciato scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Saremo disposti a cambiare i nostri stili di vita?». A ciascuno di noi la sua risposta! Grazie per avermi dato questa possibilità, grazie per avermi ascoltato e che la Madonna ci tenga per mano e il buon Dio ci tenga sempre la mano sulla testa.