MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA QUARESIMA 2023
Cari fratelli e sorelle!
I vangeli di Matteo, Marco e Luca sono concordi nel raccontare l’episodio della Trasfigurazione di Gesù. In questo avvenimento vediamo la risposta del Signore all’incomprensione che i suoi discepoli avevano manifestato nei suoi confronti. Poco prima, infatti, c’era stato un vero e proprio scontro tra il Maestro e Simon Pietro, il quale, dopo aver professato la sua fede in Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio, aveva respinto il suo annuncio della passione e della croce. Gesù lo aveva rimproverato con forza: «Va’ dietro a me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!” (Mt 16,23). Ed ecco che «sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte» (Mt 17,1).
Il Vangelo della Trasfigurazione viene proclamato ogni anno nella seconda Domenica di Quaresima. In effetti, in questo tempo liturgico il Signore ci prende con sé e ci conduce in disparte. Anche se i nostri impegni ordinari ci chiedono di rimanere nei luoghi di sempre, vivendo un quotidiano spesso ripetitivo e a volte noioso, in Quaresima siamo invitati a “salire su un alto monte” insieme a Gesù, per vivere con il Popolo santo di Dio una particolare esperienza di ascesi.
L’ascesi quaresimale è un impegno, sempre animato dalla Grazia, per superare le nostre mancanze di fede e le resistenze a seguire Gesù sul cammino della croce. Proprio come ciò di cui aveva bisogno Pietro e gli altri discepoli. Per approfondire la nostra conoscenza del Maestro, per comprendere e accogliere fino in fondo il mistero della salvezza divina, realizzata nel dono totale di sé per amore, bisogna lasciarsi condurre da Lui in disparte e in alto, distaccandosi dalle mediocrità e dalle vanità. Bisogna mettersi in cammino, un cammino in salita, che richiede sforzo, sacrificio e concentrazione, come una escursione in montagna. Questi requisiti sono importanti anche per il cammino sinodale che, come Chiesa, ci siamo impegnati a realizzare. Ci farà bene riflettere su questa relazione che esiste tra l’ascesi quaresimale e l’esperienza sinodale.
Nel “ritiro” sul monte Tabor, Gesù porta con sé tre discepoli, scelti per essere testimoni di un avvenimento unico. Vuole che quella esperienza di grazia non sia solitaria, ma condivisa, come lo è, del resto, tutta la nostra vita di fede. Gesù lo si segue insieme. E insieme, come Chiesa pellegrina nel tempo, si vive l’anno liturgico e, in esso, la Quaresima, camminando con coloro che il Signore ci ha posto accanto come compagni di viaggio. Analogamente all’ascesa di Gesù e dei discepoli al Monte Tabor, possiamo dire che il nostro cammino quaresimale è “sinodale”, perché lo compiamo insieme sulla stessa via, discepoli dell’unico Maestro. Sappiamo, anzi, che Lui stesso è la Via, e dunque, sia nell’itinerario liturgico sia in quello del Sinodo, la Chiesa altro non fa che entrare sempre più profondamente e pienamente nel mistero di Cristo Salvatore.
E arriviamo al momento culminante. Narra il Vangelo che Gesù «fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce» (Mt 17,2). Ecco la “cima”, la meta del cammino. Al termine della salita, mentre stanno sull’alto monte con Gesù, ai tre discepoli è data la grazia di vederlo nella sua gloria, splendente di luce soprannaturale, che non veniva da fuori, ma si irradiava da Lui stesso. La divina bellezza di questa visione fu incomparabilmente superiore a qualsiasi fatica che i discepoli potessero aver fatto nel salire sul Tabor. Come in ogni impegnativa escursione in montagna: salendo bisogna tenere lo sguardo ben fisso al sentiero; ma il panorama che si spalanca alla fine sorprende e ripaga per la sua meraviglia. Anche il processo sinodale appare spesso arduo e a volte ci potremmo scoraggiare. Ma quello che ci attende al termine è senz’altro qualcosa di meraviglioso e sorprendente, che ci aiuterà a comprendere meglio la volontà di Dio e la nostra missione al servizio del suo Regno.
L’esperienza dei discepoli sul Monte Tabor si arricchisce ulteriormente quando, accanto a Gesù trasfigurato, appaiono Mosè ed Elia, che impersonano rispettivamente la Legge e i Profeti (cfr Mt 17,3). La novità del Cristo è compimento dell’antica Alleanza e delle promesse; è inseparabile dalla storia di Dio con il suo popolo e ne rivela il senso profondo. Analogamente, il percorso sinodale è radicato nella tradizione della Chiesa e al tempo stesso aperto verso la novità. La tradizione è fonte di ispirazione per cercare strade nuove, evitando le opposte tentazioni dell’immobilismo e della sperimentazione improvvisata.
Il cammino ascetico quaresimale e, similmente, quello sinodale, hanno entrambi come meta una trasfigurazione, personale ed ecclesiale. Una trasformazione che, in ambedue i casi, trova il suo modello in quella di Gesù e si opera per la grazia del suo mistero pasquale. Affinché tale trasfigurazione si possa realizzare in noi quest’anno, vorrei proporre due “sentieri” da seguire per salire insieme a Gesù e giungere con Lui alla meta.
Il primo fa riferimento all’imperativo che Dio Padre rivolge ai discepoli sul Tabor, mentre contemplano Gesù trasfigurato. La voce dalla nube dice: «Ascoltatelo» (Mt 17,5). Dunque la prima indicazione è molto chiara: ascoltare Gesù. La Quaresima è tempo di grazia nella misura in cui ci mettiamo in ascolto di Lui che ci parla. E come ci parla? Anzitutto nella Parola di Dio, che la Chiesa ci offre nella Liturgia: non lasciamola cadere nel vuoto; se non possiamo partecipare sempre alla Messa, leggiamo le Letture bibliche giorno per giorno, anche con l’aiuto di internet. Oltre che nelle Scritture, il Signore ci parla nei fratelli, soprattutto nei volti e nelle storie di coloro che hanno bisogno di aiuto. Ma vorrei aggiungere anche un altro aspetto, molto importante nel processo sinodale: l’ascolto di Cristo passa anche attraverso l’ascolto dei fratelli e delle sorelle nella Chiesa, quell’ascolto reciproco che in alcune fasi è l’obiettivo principale ma che comunque rimane sempre indispensabile nel metodo e nello stile di una Chiesa sinodale.
All’udire la voce del Padre, «i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: “Alzatevi e non temete”. Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo» (Mt 17,6-8). Ecco la seconda indicazione per questa Quaresima: non rifugiarsi in una religiosità fatta di eventi straordinari, di esperienze suggestive, per paura di affrontare la realtà con le sue fatiche quotidiane, le sue durezze e le sue contraddizioni. La luce che Gesù mostra ai discepoli è un anticipo della gloria pasquale, e verso quella bisogna andare, seguendo “Lui solo”. La Quaresima è orientata alla Pasqua: il “ritiro” non è fine a sé stesso, ma ci prepara a vivere con fede, speranza e amore la passione e la croce, per giungere alla risurrezione. Anche il percorso sinodale non deve illuderci di essere arrivati quando Dio ci dona la grazia di alcune esperienze forti di comunione. Anche lì il Signore ci ripete: «Alzatevi e non temete». Scendiamo nella pianura, e la grazia sperimentata ci sostenga nell’essere artigiani di sinodalità nella vita ordinaria delle nostre comunità.
Cari fratelli e sorelle, lo Spirito Santo ci animi in questa Quaresima nell’ascesa con Gesù, per fare esperienza del suo splendore divino e così, rafforzati nella fede, proseguire insieme il cammino con Lui, gloria del suo popolo e luce delle genti.
Roma, San Giovanni in Laterano, 25 gennaio, festa della Conversione di San Paolo
FRANCESCO
Read MoreMessaggio del Santo Padre Francesco per la XXX Giornata Mondiale del Malato
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA XXX GIORNATA MONDIALE DEL MALATO
11 febbraio 2022
«Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36).
Porsi accanto a chi soffre in un cammino di carità
Cari fratelli e sorelle,
trent’anni fa san Giovanni Paolo II istituì la Giornata Mondiale del Malato per sensibilizzare il popolo di Dio, le istituzioni sanitarie cattoliche e la società civile all’attenzione verso i malati e verso quanti se ne prendono cura. [1]
Siamo riconoscenti al Signore per il cammino compiuto in questi anni nelle Chiese particolari del mondo intero. Molti passi avanti sono stati fatti, ma molta strada rimane ancora da percorrere per assicurare a tutti i malati, anche nei luoghi e nelle situazioni di maggiore povertà ed emarginazione, le cure sanitarie di cui hanno bisogno; come pure l’accompagnamento pastorale, perché possano vivere il tempo della malattia uniti a Cristo crocifisso e risorto. La 30ª Giornata Mondiale del Malato, la cui celebrazione culminante, a causa della pandemia, non potrà aver luogo ad Arequipa in Perù, ma si terrà nella Basilica di San Pietro in Vaticano, possa aiutarci a crescere nella vicinanza e nel servizio alle persone inferme e alle loro famiglie.
1. Misericordiosi come il Padre
Il tema scelto per questa trentesima Giornata, «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36), ci fa anzitutto volgere lo sguardo a Dio “ricco di misericordia” (Ef 2,4), il quale guarda sempre i suoi figli con amore di padre, anche quando si allontanano da Lui. La misericordia, infatti, è per eccellenza il nome di Dio, che esprime la sua natura non alla maniera di un sentimento occasionale, ma come forza presente in tutto ciò che Egli opera. È forza e tenerezza insieme. Per questo possiamo dire, con stupore e riconoscenza, che la misericordia di Dio ha in sé sia la dimensione della paternità sia quella della maternità (cfr Is 49,15), perché Egli si prende cura di noi con la forza di un padre e con la tenerezza di una madre, sempre desideroso di donarci nuova vita nello Spirito Santo.
2. Gesù, misericordia del Padre
Testimone sommo dell’amore misericordioso del Padre verso i malati è il suo Figlio unigenito. Quante volte i Vangeli ci narrano gli incontri di Gesù con persone affette da diverse malattie! Egli «percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo» (Mt 4,23). Possiamo chiederci: perché questa attenzione particolare di Gesù verso i malati, al punto che essa diventa anche l’opera principale nella missione degli apostoli, mandati dal Maestro ad annunciare il Vangelo e curare gli infermi? (cfr Lc 9,2).
Un pensatore del XX secolo ci suggerisce una motivazione: «Il dolore isola assolutamente ed è da questo isolamento assoluto che nasce l’appello all’altro, l’invocazione all’altro». [2] Quando una persona sperimenta nella propria carne fragilità e sofferenza a causa della malattia, anche il suo cuore si appesantisce, la paura cresce, gli interrogativi si moltiplicano, la domanda di senso per tutto quello che succede si fa più urgente. Come non ricordare, a questo proposito, i numerosi ammalati che, durante questo tempo di pandemia, hanno vissuto nella solitudine di un reparto di terapia intensiva l’ultimo tratto della loro esistenza, certamente curati da generosi operatori sanitari, ma lontani dagli affetti più cari e dalle persone più importanti della loro vita terrena? Ecco, allora, l’importanza di avere accanto dei testimoni della carità di Dio che, sull’esempio di Gesù, misericordia del Padre, versino sulle ferite dei malati l’olio della consolazione e il vino della speranza. [3]
3. Toccare la carne sofferente di Cristo
L’invito di Gesù a essere misericordiosi come il Padre acquista un significato particolare per gli operatori sanitari. Penso ai medici, agli infermieri, ai tecnici di laboratorio, agli addetti all’assistenza e alla cura dei malati, come pure ai numerosi volontari che donano tempo prezioso a chi soffre. Cari operatori sanitari, il vostro servizio accanto ai malati, svolto con amore e competenza, trascende i limiti della professione per diventare una missione. Le vostre mani che toccano la carne sofferente di Cristo possono essere segno delle mani misericordiose del Padre. Siate consapevoli della grande dignità della vostra professione, come pure della responsabilità che essa comporta.
Benediciamo il Signore per i progressi che la scienza medica ha compiuto soprattutto in questi ultimi tempi; le nuove tecnologie hanno permesso di approntare percorsi terapeutici che sono di grande beneficio per i malati; la ricerca continua a dare il suo prezioso contributo per sconfiggere patologie antiche e nuove; la medicina riabilitativa ha sviluppato notevolmente le sue conoscenze e le sue competenze. Tutto questo, però, non deve mai far dimenticare la singolarità di ogni malato, con la sua dignità e le sue fragilità. [4] Il malato è sempre più importante della sua malattia, e per questo ogni approccio terapeutico non può prescindere dall’ascolto del paziente, della sua storia, delle sue ansie, delle sue paure. Anche quando non è possibile guarire, sempre è possibile curare, sempre è possibile consolare, sempre è possibile far sentire una vicinanza che mostra interesse alla persona prima che alla sua patologia. Per questo auspico che i percorsi formativi degli operatori della salute siano capaci di abilitare all’ascolto e alla dimensione relazionale.
4. I luoghi di cura, case di misericordia
La Giornata Mondiale del Malato è occasione propizia anche per porre la nostra attenzione sui luoghi di cura. La misericordia verso i malati, nel corso dei secoli, ha portato la comunità cristiana ad aprire innumerevoli “locande del buon samaritano”, nelle quali potessero essere accolti e curati malati di ogni genere, soprattutto coloro che non trovavano risposta alla loro domanda di salute o per indigenza o per l’esclusione sociale o per le difficoltà di cura di alcune patologie. A farne le spese, in queste situazioni, sono soprattutto i bambini, gli anziani e le persone più fragili. Misericordiosi come il Padre, tanti missionari hanno accompagnato l’annuncio del Vangelo con la costruzione di ospedali, dispensari e luoghi di cura. Sono opere preziose mediante le quali la carità cristiana ha preso forma e l’amore di Cristo, testimoniato dai suoi discepoli, è diventato più credibile. Penso soprattutto alle popolazioni delle zone più povere del pianeta, dove a volte occorre percorrere lunghe distanze per trovare centri di cura che, seppur con risorse limitate, offrono quanto è disponibile. La strada è ancora lunga e in alcuni Paesi ricevere cure adeguate rimane un lusso. Lo attesta ad esempio la scarsa disponibilità, nei Paesi più poveri, di vaccini contro il Covid-19; ma ancor di più la mancanza di cure per patologie che necessitano di medicinali ben più semplici.
In questo contesto desidero riaffermare l’importanza delle istituzioni sanitarie cattoliche: esse sono un tesoro prezioso da custodire e sostenere; la loro presenza ha contraddistinto la storia della Chiesa per la prossimità ai malati più poveri e alle situazioni più dimenticate. [5] Quanti fondatori di famiglie religiose hanno saputo ascoltare il grido di fratelli e sorelle privi di accesso alle cure o curati malamente e si sono prodigati al loro servizio! Ancora oggi, anche nei Paesi più sviluppati, la loro presenza è una benedizione, perché sempre possono offrire, oltre alla cura del corpo con tutta la competenza necessaria, anche quella carità per la quale il malato e i suoi familiari sono al centro dell’attenzione. In un tempo nel quale è diffusa la cultura dello scarto e la vita non è sempre riconosciuta degna di essere accolta e vissuta, queste strutture, come case della misericordia, possono essere esemplari nel custodire e curare ogni esistenza, anche la più fragile, dal suo inizio fino al suo termine naturale.
5. La misericordia pastorale: presenza e prossimità
Nel cammino di questi trent’anni, anche la pastorale della salute ha visto sempre più riconosciuto il suo indispensabile servizio. Se la peggiore discriminazione di cui soffrono i poveri – e i malati sono poveri di salute – è la mancanza di attenzione spirituale, non possiamo tralasciare di offrire loro la vicinanza di Dio, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta di un cammino di crescita e di maturazione nella fede. [6] A questo proposito, vorrei ricordare che la vicinanza agli infermi e la loro cura pastorale non è compito solo di alcuni ministri specificamente dedicati; visitare gli infermi è un invito rivolto da Cristo a tutti i suoi discepoli. Quanti malati e quante persone anziane vivono a casa e aspettano una visita! Il ministero della consolazione è compito di ogni battezzato, memore della parola di Gesù: «Ero malato e mi avete visitato» ( Mt 25,36).
Cari fratelli e sorelle, all’intercessione di Maria, salute degli infermi, affido tutti i malati e le loro famiglie. Uniti a Cristo, che porta su di sé il dolore del mondo, possano trovare senso, consolazione e fiducia. Prego per tutti gli operatori sanitari affinché, ricchi di misericordia, offrano ai pazienti, insieme alle cure adeguate, la loro vicinanza fraterna.
Su tutti imparto di cuore la Benedizione Apostolica.
Roma, San Giovanni in Laterano, 10 dicembre 2021, Memoria della B.V. Maria di Loreto
Francesco
Santo Rosario nella Giornata Mondiale dell’Ammalato – 11 febbraio, ore 15.30
Santo Rosario nella Giornata Mondiale dell’Ammalato
Presiede il Vescovo Oscar
In diretta dalla grotta di Lourdes dell’Ospedale Valduce di Como
Giovedì 11 febbraio, ore 15.30
Giovedì 11 febbraio il vescovo monsignor Oscar Cantoni, non potendo recarsi di persona all’interno degli ospedali per il tradizionale saluto ai malati e la celebrazione della Santa Messa, guiderà la preghiera del Rosario dalla Grotta collocata nel giardino dell’Ospedale Valduce di Como e che riproduce la Grotta di Massabielle, dove l’11 febbraio 1858, per la prima volta, l’Immacolata apparve alla piccola Bernardette. Lo schema della celebrazione, che sarà trasmessa in diretta, alle ore 15.30, su EspansioneTV (canale 19 del digitale terrestre) e sulle piattaforme web e social della stessa emittente e del Settimanale della diocesi di como (canale YouTube), riprenderà proprio lo stile della preghiera lourdiana. Alla recita del Rosario saranno presenti le dame e i barellieri dell’Unitalsi. In particolare saranno presentate sull’altare le preghiere dei tanti fedeli che alla Madonna di Lourdes quotidianamente si affidano. Le intenzioni non saranno lette pubblicamente, ma chi lo desidera può far pervenire la propria attraverso l’indirizzo mail vicarioepiscopale.pastorale@diocesidicomo.it. Ciascuno può scriverla personalmente o affidarla a una persona amica che possa aiutarla nella spedizione via posta elettronica.
«La celebrazione della XXIX Giornata Mondiale del Malato, che ricorre l’11 febbraio 2021, memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes, è momento propizio per riservare una speciale attenzione alle persone malate e a coloro che le assistono, sia nei luoghi deputati alla cura sia in seno alle famiglie e alle comunità. Il pensiero va in particolare a quanti, in tutto il mondo, patiscono gli effetti della pandemia del coronavirus. A tutti, specialmente ai più poveri ed emarginati, esprimo la mia spirituale vicinanza, assicurando la sollecitudine e l’affetto della Chiesa». Con queste parole inizia il Messaggio di papa Francesco in occasione della Giornata Mondiale del Malato. Il titolo scelto per l’appuntamento di quest’anno è “Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli (Mt 23,8). La relazione di fiducia alla base della cura dei malati”.
«La malattia – è la sottolineatura del Papa – ha sempre un volto, e non uno solo: ha il volto di ogni malato e malata, anche di quelli che si sentono ignorati, esclusi, vittime di ingiustizie sociali che negano loro diritti essenziali (cfr Enc. Fratelli tutti, 22). L’attuale pandemia ha fatto emergere tante inadeguatezze dei sistemi sanitari e carenze nell’assistenza alle persone malate. Agli anziani, ai più deboli e vulnerabili non sempre è garantito l’accesso alle cure, e non sempre lo è in maniera equa. Questo dipende dalle scelte politiche, dal modo di amministrare le risorse e dall’impegno di coloro che rivestono ruoli di responsabilità. Investire risorse nella cura e nell’assistenza delle persone malate è una priorità legata al principio che la salute è un bene comune primario. Nello stesso tempo, la pandemia ha messo in risalto anche la dedizione e la generosità di operatori sanitari, volontari, lavoratori e lavoratrici, sacerdoti, religiosi e religiose, che con professionalità, abnegazione, senso di responsabilità e amore per il prossimo hanno aiutato, curato, confortato e servito tanti malati e i loro familiari. Una schiera silenziosa di uomini e donne che hanno scelto di guardare quei volti, facendosi carico delle ferite di pazienti che sentivano prossimi in virtù della comune appartenenza alla famiglia umana».
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Messaggio del Santo Padre Francesco per la XXIX Giornata Mondiale del Malato
Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli (Mt 23,8). La relazione di fiducia alla base della cura dei malati
Cari fratelli e sorelle!
La celebrazione della XXIX Giornata Mondiale del Malato, che ricorre l’11 febbraio 2021, memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes, è momento propizio per riservare una speciale attenzione alle persone malate e a coloro che le assistono, sia nei luoghi deputati alla cura sia in seno alle famiglie e alle comunità. Il pensiero va in particolare a quanti, in tutto il mondo, patiscono gli effetti della pandemia del coronavirus. A tutti, specialmente ai più poveri ed emarginati, esprimo la mia spirituale vicinanza, assicurando la sollecitudine e l’affetto della Chiesa.
1. Il tema di questa Giornata si ispira al brano evangelico in cui Gesù critica l’ipocrisia di coloro che dicono ma non fanno (cfr Mt 23,1-12). Quando si riduce la fede a sterili esercizi verbali, senza coinvolgersi nella storia e nelle necessità dell’altro, allora viene meno la coerenza tra il credo professato e il vissuto reale. Il rischio è grave; per questo Gesù usa espressioni forti, per mettere in guardia dal pericolo di scivolare nell’idolatria di sé stessi, e afferma: «Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli» (v. 8).
La critica che Gesù rivolge a coloro che «dicono e non fanno» (v. 3) è salutare sempre e per tutti, perché nessuno è immune dal male dell’ipocrisia, un male molto grave, che produce l’effetto di impedirci di fiorire come figli dell’unico Padre, chiamati a vivere una fraternità universale.
Davanti alla condizione di bisogno del fratello e della sorella, Gesù offre un modello di comportamento del tutto opposto all’ipocrisia. Propone di fermarsi, ascoltare, stabilire una relazione diretta e personale con l’altro, sentire empatia e commozione per lui o per lei, lasciarsi coinvolgere dalla sua sofferenza fino a farsene carico nel servizio (cfr Lc 10,30-35).
2. L’esperienza della malattia ci fa sentire la nostra vulnerabilità e, nel contempo, il bisogno innato dell’altro. La condizione di creaturalità diventa ancora più nitida e sperimentiamo in maniera evidente la nostra dipendenza da Dio. Quando siamo malati, infatti, l’incertezza, il timore, a volte lo sgomento pervadono la mente e il cuore; ci troviamo in una situazione di impotenza, perché la nostra salute non dipende dalle nostre capacità o dal nostro “affannarci” (cfr Mt 6,27).
La malattia impone una domanda di senso, che nella fede si rivolge a Dio: una domanda che cerca un nuovo significato e una nuova direzione all’esistenza, e che a volte può non trovare subito una risposta. Gli stessi amici e parenti non sempre sono in grado di aiutarci in questa faticosa ricerca.
Emblematica è, al riguardo, la figura biblica di Giobbe. La moglie e gli amici non riescono ad accompagnarlo nella sua sventura, anzi, lo accusano amplificando in lui solitudine e smarrimento. Giobbe precipita in uno stato di abbandono e di incomprensione. Ma proprio attraverso questa estrema fragilità, respingendo ogni ipocrisia e scegliendo la via della sincerità verso Dio e verso gli altri, egli fa giungere il suo grido insistente a Dio, il quale alla fine risponde, aprendogli un nuovo orizzonte. Gli conferma che la sua sofferenza non è una punizione o un castigo, non è nemmeno uno stato di lontananza da Dio o un segno della sua indifferenza. Così, dal cuore ferito e risanato di Giobbe, sgorga quella vibrante e commossa dichiarazione al Signore: «Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto» (42,5).
3. La malattia ha sempre un volto, e non uno solo: ha il volto di ogni malato e malata, anche di quelli che si sentono ignorati, esclusi, vittime di ingiustizie sociali che negano loro diritti essenziali (cfr Enc. Fratelli tutti, 22). L’attuale pandemia ha fatto emergere tante inadeguatezze dei sistemi sanitari e carenze nell’assistenza alle persone malate. Agli anziani, ai più deboli e vulnerabili non sempre è garantito l’accesso alle cure, e non sempre lo è in maniera equa. Questo dipende dalle scelte politiche, dal modo di amministrare le risorse e dall’impegno di coloro che rivestono ruoli di responsabilità. Investire risorse nella cura e nell’assistenza delle persone malate è una priorità legata al principio che la salute è un bene comune primario. Nello stesso tempo, la pandemia ha messo in risalto anche la dedizione e la generosità di operatori sanitari, volontari, lavoratori e lavoratrici, sacerdoti, religiosi e religiose, che con professionalità, abnegazione, senso di responsabilità e amore per il prossimo hanno aiutato, curato, confortato e servito tanti malati e i loro familiari. Una schiera silenziosa di uomini e donne che hanno scelto di guardare quei volti, facendosi carico delle ferite di pazienti che sentivano prossimi in virtù della comune appartenenza alla famiglia umana.
La vicinanza, infatti, è un balsamo prezioso, che dà sostegno e consolazione a chi soffre nella malattia. In quanto cristiani, viviamo la prossimità come espressione dell’amore di Gesù Cristo, il buon Samaritano, che con compassione si è fatto vicino ad ogni essere umano, ferito dal peccato. Uniti a Lui per l’azione dello Spirito Santo, siamo chiamati ad essere misericordiosi come il Padre e ad amare, in particolare, i fratelli malati, deboli e sofferenti (cfr Gv 13,34-35). E viviamo questa vicinanza, oltre che personalmente, in forma comunitaria: infatti l’amore fraterno in Cristo genera una comunità capace di guarigione, che non abbandona nessuno, che include e accoglie soprattutto i più fragili.
A tale proposito, desidero ricordare l’importanza della solidarietà fraterna, che si esprime concretamente nel servizio e può assumere forme molto diverse, tutte orientate a sostegno del prossimo. «Servire significa avere cura di coloro che sono fragili nelle nostre famiglie, nella nostra società, nel nostro popolo» (Omelia a La Habana, 20 settembre 2015). In questo impegno ognuno è capace di «mettere da parte le sue esigenze e aspettative, i suoi desideri di onnipotenza davanti allo sguardo concreto dei più fragili. […] Il servizio guarda sempre il volto del fratello, tocca la sua carne, sente la sua prossimità fino in alcuni casi a “soffrirla”, e cerca la promozione del fratello. Per tale ragione il servizio non è mai ideologico, dal momento che non serve idee, ma persone» (ibid.).
4. Perché vi sia una buona terapia, è decisivo l’aspetto relazionale, mediante il quale si può avere un approccio olistico alla persona malata. Valorizzare questo aspetto aiuta anche i medici, gli infermieri, i professionisti e i volontari a farsi carico di coloro che soffrono per accompagnarli in un percorso di guarigione, grazie a una relazione interpersonale di fiducia (cfr Nuova Carta degli Operatori Sanitari [2016], 4). Si tratta dunque di stabilire un patto tra i bisognosi di cura e coloro che li curano; un patto fondato sulla fiducia e il rispetto reciproci, sulla sincerità, sulla disponibilità, così da superare ogni barriera difensiva, mettere al centro la dignità del malato, tutelare la professionalità degli operatori sanitari e intrattenere un buon rapporto con le famiglie dei pazienti.
Proprio questa relazione con la persona malata trova una fonte inesauribile di motivazione e di forza nella carità di Cristo, come dimostra la millenaria testimonianza di uomini e donne che si sono santificati nel servire gli infermi. In effetti, dal mistero della morte e risurrezione di Cristo scaturisce quell’amore che è in grado di dare senso pieno sia alla condizione del paziente sia a quella di chi se ne prende cura. Lo attesta molte volte il Vangelo, mostrando che le guarigioni operate da Gesù non sono mai gesti magici, ma sempre il frutto di un incontro, di una relazione interpersonale, in cui al dono di Dio, offerto da Gesù, corrisponde la fede di chi lo accoglie, come riassume la parola che Gesù spesso ripete: “La tua fede ti ha salvato”.
5. Cari fratelli e sorelle, il comandamento dell’amore, che Gesù ha lasciato ai suoi discepoli, trova una concreta realizzazione anche nella relazione con i malati. Una società è tanto più umana quanto più sa prendersi cura dei suoi membri fragili e sofferenti, e sa farlo con efficienza animata da amore fraterno. Tendiamo a questa meta e facciamo in modo che nessuno resti da solo, che nessuno si senta escluso e abbandonato.
Affido tutte le persone ammalate, gli operatori sanitari e coloro che si prodigano accanto ai sofferenti, a Maria, Madre di misericordia e Salute degli infermi. Dalla Grotta di Lourdes e dagli innumerevoli suoi santuari sparsi nel mondo, Ella sostenga la nostra fede e la nostra speranza, e ci aiuti a prenderci cura gli uni degli altri con amore fraterno. Su tutti e ciascuno imparto di cuore la mia benedizione.
Roma, San Giovanni in Laterano, 20 dicembre 2020, IV Domenica di Avvento.
Francesco
Read MoreUnitalsi anziani e disabili ai tempi del Coronavirus: emergenza nell’emergenza
Domenica 13 dicembre, alle ore 18,15, Radio Mater apre le proprie frequenze all’appuntamento mensile con l’Unitalsi.
Da oltre sei anni l’Unitalsi, Sezione Lombarda, mensilmente è presente con una propria rubrica dal titolo “Per Maria a Gesù”, una trasmissione mariana di fede e testimonianza a cura di Adriano Muschiato e condotta da Vittore De Carli.
Domenica prossima il filo conduttore sarà Unitalsi anziani e disabili ai tempi del Coronavirus: emergenza nell’emergenza, l’esperienza dei nostri fratelli sofferenti sul territorio lombardo, in particolare nelle sottosezioni di Como, Merate, Monza e Milano, attraverso la testimonianza di Luigi Rocca, Davide Cacciatori, Ettore Andreoni e Patrizia Marando che racconteranno ai radioascoltatori di Radio Mater come stanno vivendo quotidianamente nelle loro case questo momento di difficoltà, l’importanza degli affetti più cari e quegli degli amici dell’Unitalsi, anche in prossimità del Santo Natale
Non può mancare la parte spirituale “In prossimità del Santo Natale” è il tema che svilupperà padre Corrado Brida, frate cappuccino. Entrato in seminario con i Cappuccini a 11 anni, è stato ordinato sacerdote a 24 anni. La sua storia si lega in particolare con i 22 anni trascorsi come cerimoniere nel santuario di Loreto, dove padre Corrado era noto, oltre che per la sua dedizione ai pellegrinaggi per gli ammalati, per gli “assoli” con cui accompagnava le liturgie mariane. Celebre la sua interpretazione del canto di origine polacca «Madonna Nera», un brano che ha anche inciso su un dvd di canti lauretani.
Infine, con Graziella Moschino, parleremo del sito della sezione Lombarda con la recente pubblicazione dell’opera “Sempre insieme, lontani ma vicini – Meditazioni spirituali ai tempi del Coronavirus” curata dalla stessa vicepresidente regionale.
In un momento straordinario, quello dell’emergenza COVID-19 e del conseguente lockdown, in cui l’ordinario a cui eravamo abituati ha lasciato il posto a una nuova dimensione di spazio e relazioni, la necessità di sentirsi sempre e ancora più di prima “insieme” ha spinto tutti a utilizzare nuovi strumenti di comunicazione e di preghiera. Da questa necessità l’UNITALSI Lombarda ha dato vita a una serie di incontri virtuali, tramite l’utilizzo della piattaforma Zoom Call, durante i quali l’Arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, e i vescovi della Lombardia hanno donato le loro catechesi per infondere conforto e speranza nei fedeli. Gli interventi dei Vescovi sono stati successivamente riuniti nella presente opera per tenere traccia della fede e della forza dimostrata dalla Chiesa e dai fedeli anche nei momenti di grande difficoltà.
Spazio aperto poi alle telefonate degli ascoltatori che vogliono intervenire portando il proprio contributo al dialogo. Un’occasione per dare voce alle esperienze associative, a chi vive la realtà della malattia o della disabilità, a chi si trova ad affrontare il tempo della solitudine e della sofferenza, e insieme il tempo dell’amicizia, dell’aiuto fraterno, della gratuità che si fa dono e si riceve come dono.
È possibile seguire la trasmissione dalle frequenze di Radio Mater e via internet su www.radiomater.org
Read MoreLourdes e la pandemia
Conferenza zoom Unitalsi Lombarda – 23 novembre 2020
Introduzione
La pandemia da Covid-19 ha travolto tutto e tutti come un’onda d’urto che ha sommerso l’intera umanità. Espressioni enfatiche come “niente sarà come prima” o “andrà tutto bene” stanno perdendo forza e lasciano spazio a sentimenti diversi. Siamo passati dalla noncuranza allo sgomento e poi alla paura, alla fatica, al dolore, allo strazio. Abbiamo avvertito ammirazione per medici e infermieri e tutti coloro che si sono adoperati e si stanno adoperando ancora per curare, salvare, sostenere e rassicurare.
Su tutti ha dominato e domina un sentimento di solidarietà che ancora una volta ci ha stupito, allargato il cuore: un sentimento che non vorremmo veder svanire man mano che diminuisce il pericolo, e speriamo prima possibile. Come inciderà questa stagione 2020, dopo la quale – a detta di molti – nulla sarà come prima?
L’oscurità, la solitudine, l’abbandono, il dolore, la sofferenza, la malattia e la morte, il senso di impotenza, lo strazio, la disperazione, hanno interrogato molti su Dio e, come i discepoli sulla barca evocata dal Papa, in quel tremendo venerdì 27 marzo sul sagrato della Basilica di San Pietro, anche noi abbiamo avvertito l’intensità della drammatica domanda posta a Gesù che dorme: «Non ti importa che siamo perduti? ». È dunque possibile sviluppare qualche riflessione per ripensare il modo con cui vivere l’esperienza di Lourdes? Non è facile tentare una risposta esaustiva, perché a tutt’oggi non vediamo ancora la fine. Tuttavia non possiamo esimerci dal riflettere.
La pandemia a Lourdes
È noto a noi tutti: il diffondersi del virus e le conseguenti misure adottate hanno portato alla decisione di chiudere completamente il santuario. I cancelli sono stati chiusi dal 17 marzo al 16 maggio 2020. Attualmente il santuario è nuovamente chiuso. Tuttavia, rispetto alla prima chiusura, la porta di san Giuseppe è sempre aperta per permettere ai pochi pellegrini di entrare e di recarsi alla basilica del rosario dove è stata di nuovo proposta l’adorazione, la possibilità di confessarsi, due sacerdoti sono sempre disponibili tuta la giornata abbiamo scese anche le reliquie di Santa Bernadette. Inoltre è possibile recarsi ai rubinetti per prendere l’acqua. La grotta è chiusa ai fedeli, ma lodevolmente il rettore ha riproposto la cosiddetta “Preghiera continua alla grotta“, assicurata dai cappellani, dalle otto del mattino fino alle venti della sera. Una preghiera che si è leva al cielo, offrendo a Maria le infinite intenzioni di preghiera che ci giungono da ogni parte del mondo. Di fronte a questa realtà, è possibile trarre qualche insegnamento?
L’incontro tra la Vergine e Bernadette
Dalla prima apparizione fino alla diciottesima, il rapporto che si instaura tra Bernadette e la Bella Signora, è esclusivamente personale. Via via, lungo il corso dei mesi, alla grotta si aggiungeranno prima decine di persone, poi centinaia fino a raggiungere le migliaia. D’altro canto, la relazione tra le due giovani donne, sarà un “tu per tu”, sempre unico e personale. In occasione della terza apparizione, “Aquerò” dirà a Bernadette: «Volete farmi la grazia di venire qui per quindici giorni?». Si tratta di andare alla grotta. Bernadette obbedisce a questa richiesta e lì sperimenta una grande pace e abbondante felicità. Infatti a Lourdes, da nessuno era considerata e valorizzata, perché analfabeta, povera, insignificante. Alla grotta invece si sente felice, si sente a casa. Perché? Perché lì è accolta, amata, compresa, rispettata! Inoltre vive una grande pace interiore, segno di una relazione serena, appagante, compiuta. Sta qui il segreto di Lourdes: sperimentare la pace interiore e la gioia, proprio lì, davanti a quella nuda grotta!
Infatti Bernadette testimonierà che proprio lì, la Vergine la «guardava come una persona guarda un’altra persona», cioè con rispetto e considerazione. Ciò indica la presenza di uno sguardo unico, attento a valorizzare la presenza dell’altro. Infatti, pur essendovi molte persone, talvolta ingombranti, la relazione è segnata da un’estasi che esprime comunione, intensità e amicizia. Lourdes è anzitutto caratterizzata da questo primo dato: la relazione piena ed appagante tra due persone, in quel luogo chiamato la “tana dei maiali”. «Lourdes ha l’unicità di essere un luogo in cui Maria parla a tu per tu… la storia di due ragazze più o meno della stessa età, così familiare e naturale che ci sembra strano che una delle due sia addirittura la Vergine Maria… Ella si rivolgeva a Bernadette, analfabeta, con una tale rispetto, da darle del “voi”». Ne sono testimonianza anche i dialoghi intercorsi, i sorrisi ed i segreti che Bernadette ricevette e che mai rivelò ad alcuno.
Pur di fronte alle difficoltà che sempre più aumentavano e le impedivano di recarsi alla grotta, lei sentirà forte l’impulso di recarsi là e niente e nessuno riuscì a trattenerla. Bernadette dirà più volte: «La grotta è il mio cielo», un luogo di pace, di incontro, di gioia e di raggiunta felicità. Non dovremo forse (anche noi) ripartire da lì?
Quale insegnamento trarre?
Prendo lo spunto da quanto mi chiedeva al telefono qualche giorno fa S. E. Mons Roberto Busti: siamo quasi spaventati da questo deserto, simile a quello che Mosè ha dovuto attraversare con il popolo sceltosi da Dio e che oggi vediamo nel luogo dell’Apparizione e intorno a noi. Come possiamo affrontare al meglio questo tempo?
a. Un primo insegnamento: partendo dall’esperienza vissuta ci si rende conto in maniera evidentissima che nulla può essere dato per scontato, neppure i gesti più minuscoli e quotidiani. Siamo altrettanto consapevoli che il rischio di un’inerzia strutturale, della semplice ripetizione di ciò cui siamo abituati è sempre in agguato. Giustamente ci si ripete: «Nulla sarà più come prima».
Utilizzo un’icona biblica, oggi siamo nella situazione dell’esodo. Il popolo d’Israele, dopo la celebrazione della Pasqua, la liberazione dalla schiavitù d’Egitto, dopo il passaggio del Mar Rosso, vive per ben quarant’anni l’esodo, un periodo di prove terribili, di tentazioni, di smarrimento e dubbi riguardanti la fedeltà e la presenza del suo Dio. Giustamente la prova per la necessaria purificazione, onde divenir liberi da ogni sorta di nostalgia e sguardo al passato, per diventare liberi per servire e riconoscere Dio con cuore e mente rinnovata. È il tempo dell’esodo, cioè dall’uscita di alcune certezze che erano o forse sono ben consolidate.
Ancor più, siamo sotto il segno dell’esilio. Come per l’antico Israele deportati dalla loro terra, ormai senza casa, senza tempio, senza altare e senza esercizio del sacerdozio.
Questa è stata l’esperienza iniziale della chiusura totale. Privati di tutto ciò che ci era abituale e scontato.
A nostra volta, certi delle nostre sicurezze e abitudini, abbiamo celebrato e vissuto senza troppi intoppi. Tutto ci era naturale e ovvio. Abbiamo organizzato i nostri pellegrinaggi, le celebrazioni, le feste insieme agli ammalati, i volontari, gli accompagnatori. L’organizzazione era ormai ben avviata e le persone ben presenti. Improvvisamente tutto si è bloccato e, di conseguenza, tutto va ormai ripensato. Ecco l’esodo, cioè l’uscita, che siamo chiamati a compiere.
Allora, come possiamo affrontare al meglio questo tempo? Ripiegandoci, lamentandoci, suscitando ancor più la paura? Questa è la modalità umana che non condurrà a nulla. Per noi, uomini e donne di Fede, questo tempo ci invita fortemente a rinnovare la Fede e la speranza, non nel senso “speriamo di cavarcela”, ma credendo ancor più che Dio è lì presente, fedele, attento e non abbandona.
Oserei dire che si tratta di una messa alla prova della speranza, non banalmente, ma seriamente. C’è un salmo che dice: «Per l’insulto dei miei avversari sono infrante le mie ossa; essi dicono a me tutto il giorno: “Dov’è il tuo Dio?“» (42,11). Forse non solo gli avversari, ma anche noi ci chiediamo: «Dov’è il nostro Dio?». Lo stesso salmo prosegue dicendo: «Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio» (42,6).
b. Una seconda domanda: Come possiamo attingere ancora al messaggio di Dio e come possiamo portare avanti la sua Parola? Ecco un tentativo di risposta.
Pur essendo un incontro unico ed esclusivo, quello tra Bernadette e la Vergine, fin da subito, alla grotta di Massabielle, arrivarono i malati. Ne danno testimonianza le cronache e i resoconti del tempo. Con le prime guarigioni, la voce si sparse e sempre più affluirono persone sofferenti alla ricerca di un miracolo. In tal modo, Lourdes si è sempre più caratterizzata e distinta per la presenza dei malati e l’organizzazione dei pellegrinaggi. L’Unitalsi ne è la evidente testimonianza. Ora forse è necessario rivedere tale impostazione. Ci si dice che Lourdes senza i malati non è Lourdes ed è vero. Tuttavia, questo momento critico ci obbliga a ritrovare il messaggio principale. La sfida sta proprio qui: ritornare lì, alla grotta! Lì non siamo solo presenti per rendere un servizio al malato, giustamente lodevole e necessario, ma per porci davanti a Dio, rivedendo la nostra esistenza, approfondendo la nostra Fede; non a Lourdes per servizio o lavoro, ma per un nuovo incontro e un rinnovato ascolto. Attualmente alla grotta non si sente il chiasso disturbante delle chiacchiere, ma bensì il brusio discreto della preghiera.
Inoltre, possiamo essere alla grotta con tutto ciò che siamo, la totalità della nostra esistenza, impastata di bene e di male, di luce e di tenebra. Alla grotta c’è una sorgente e il fango che imbratta il nostro volto può essere lavato e noi essere purificati, sanati e salvati. Qui sta la posta in gioco per ritrovare ragioni fondate per ritornare in pellegrinaggio alla grotta.
Non è forse questa la conversione che la pandemia oggi ci chiede? Non si disdegna la preparazione e l’organizzazione, ma ora sarà opportuno puntare su un aspetto più personale. Sono in pellegrinaggio a Lourdes per il mio cammino di Fede! Lì puoi essere te stesso, senza infingimenti (finzione, simulazione) o mascheramenti inutili, puoi essere accolto nella tua povertà, come fu delicatamente accolta Bernadette. Lì sei figlio accolto da una Madre che ha reso visibile un lembo del cielo, lì puoi essere libero dalle tue paure e confidare nel Padre che abbraccia e perdona. Quante volte molte persone ci testimoniano che qui hanno vissuto momenti significativi del loro percorso spirituale, ritrovando pace interiore, forza nelle difficoltà, discernimento per le loro scelte di vita (e anche tanti confratelli sacerdoti).
Quindi un aspetto molto personale dell’itinerario di Fede, fatto di ascolto e di preghiera! Si tratta di un messaggio a tu per tu. Anche questo è Lourdes. Senza nessun tipo di distrazione anche il servizio qualche volta potrebbe distrarci
c. Una terza domanda: in questi tempi in cui non possiamo raggiungere la grotta con i nostri ammalati e pellegrini, come possiamo mantenere vivo il messaggio di Lourdes?
Durante l’ottava apparizione, precisamente il 24 febbraio 1858, Maria dice:«Penitenza, penitenza, penitenza» e «Pregate Dio per la conversione dei peccatori». Ora, la pandemia non è un castigo, ma sicuramente un appello alla conversione. In tal caso, l’appello è veramente globale: non solo perché investe tutti, ma perché investe la vita nel suo insieme e in tutte le sue dimensioni. La conversione non è semplicemente un cambiamento e tanto meno un aggiustamento: si tratta di riorientare l’esistenza personale e ecclesiale in direzione di Cristo, secondo le linee tratteggiate dal Vangelo, assecondando l’azione dello Spirito Santo.
Scrive Papa Francesco: «Il Signore ci chiama a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è […]. È anche il tempo della creatività, nel quale lasciar operare più che mai lo Spirito Santo […]. È un tempo propizio per trovare il coraggio di una nuova immaginazione del possibile, con il realismo che solo il Vangelo può offrirci».
Ho trovato questa significativa testimonianza che desidero condividere con voi. Mons. Calogero Peri, vescovo di Caltagirone, è stato contagiato da Coronavirus ed ha trascorso in ospedale più di un mese, sperimentando l’esile distanza tra la vita e la morte. Scrive così: «Dall’esperienza della malattia è stato per me importante e di grande aiuto, il desiderio di essere solidale con la paura di tutti, di essere vicino al disorientamento di tutti, di non sentirmi e di non far sentire nessuno solo, cercando sempre di vivere tutto con la coscienza che, però, dipendeva da me scegliere in che modo volessi vivere quello che di giorno in giorno si presentava. Non potevo sapere in anticipo quale direzione avrebbe preso la mia malattia, se quella della vita o quella della morte, però stava a me, in qualunque strada si fosse incamminata, decidere come viverla e soprattutto per chi viverla».
È possibile tenere vivo il messaggio di Lourdes: la conversione alla quale siamo chiamati è quella dello stare accanto, non in termini di organizzazione o forse di prestigio, ma bensì con la presenza silenziosa e discreta. Non risolvo sempre il problema dell’altro, del malato, del diversamente abile, ma posso essergli accanto come una presenza ascoltante, che infonde speranza e lascia liberi. La penitenza, in tal caso, è che a mia volta mi riconosca piccolo, malato e bisognoso di guarigione. Non è forse vero che talvolta il mio “io” è ingombrante e seminatore di divisione? Lourdes mi chiede di uscire da tale condizione e non è poco. Ricordiamoci della piccolezza di Bernadette, ma in verità della sua grandezza.
Conclusione
«Venite in disparte, in un luogo solitario e riposatevi un po‘» (Mc 6,31). Gesù aveva mandato i suoi discepoli in missione ed essi, ritornando, raccontano quanto accaduto. Allora Gesù chiede loro di ritirarsi con lui dopo le fatiche della predicazione. È necessario lasciare le folle e ritrovare la relazione feconda con il Maestro. Prima della pandemia noi tutti eravamo ben impegnati nel nostro abituale lavoro, nei nostri impegni, nell’organizzazione frenetica. La vita sembrava non doversi mai più fermare. Di colpo tutto si è bloccato: non solo abbiamo dovuto fermarci, ma ancor più siamo stati confinati, quasi murati nelle mura delle nostre case. Tale esperienza vissuta, non va solo riconosciuta, va soprattutto interpretata. Se non si sa dove andare, non è facile trovare la voglia e la forza di uscire e di mettersi in cammino. Se non si spera in qualcuno che ci attende e in un luogo dove approdare, è difficile buttarsi alle spalle abitudini e sicurezze e darsi un orizzonte nuovo. Se si pensa di avere capito tutto di se stessi, dell’umanità e persino di Dio, nulla inquieta, nulla attrae e tutto appare scontato. Abbiamo bisogno di esercitare la pazienza, come virtù. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai.
Come ben dice Papa Francesco in una sua omelia: «Perché peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi […]. Gli eventi belli e tristi richiedono discernimento e profondità di riflessione per poterci insegnare qualcosa di buono. Se, invece, sono affrontati con superficialità, ci lasciano tali e quali, anzi fanno di noi delle persone ripiegate su se stesse e sulle proprie convinzioni, piuttosto che aperte a quello che Dio ci chiede qui ed ora […]. L’esperienza della pandemia ha lasciato scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Saremo disposti a cambiare i nostri stili di vita?». A ciascuno di noi la sua risposta! Grazie per avermi dato questa possibilità, grazie per avermi ascoltato e che la Madonna ci tenga per mano e il buon Dio ci tenga sempre la mano sulla testa.
Read MoreZoom call “Sempre insieme, lontani ma vicini”, un appuntamento dell’Unitalsi Lombarda
Lunedì 23 novembre alle ore 15,00 padre Nicola Ventriglia, responsabile dei Cappellani italiani a Lourdes, ci parlerà di pellegrinaggio e di come trarne forza per la rinascita della nostra Unitalsi Lombarda.
«Vederlo ora deserto è come avere una forte stretta al cuore, un grande dolore, qualcosa di assolutamente irreale» (padre Nicola)
Il tempo della pandemia che stiamo vivendo è sicuramente uno spartiacque per tutta l’umanità. Lo è certamente anche per la nostra Unitalsi. La chiamata del popolo di Dio al pellegrinaggio, come momento di incontro con Lui, si rinnoverà sempre e sarà la nostra missione anche in futuro con la bellezza, la ricchezza delle nostre tradizioni, ma anche con la nostra fantasia nel riconoscere i segni dei tempi ed interpretarli in maniera adeguata. Ci dovrà essere anche qualcosa di nuovo: nei pellegrinaggi ai santuari e nei pellegrinaggi di ogni giorno, nella “visita” a chi è nel bisogno.
Ecco che diventa indispensabile incontrarci con una persona che vive quotidianamente nel Santuario e che siamo felici di ascoltare per la grande esperienza che possiede. Questo incontro online ci deve dare forza e idee per predisporre, fin da oggi, quella rinascita della nostra Unitalsi (che vive ormai da 100 anni nella nostra regione) alla quale tutti noi, con diversità di ruoli ma unità di intenti, siamo chiamati.
L’incontro è organizzato con la partecipazione di S.Ecc.za mons. Roberto Busti, vescovo emerito di Mantova e assistente spirituale dell’Unitalsi sezione Lombarda, oltre che per i sacerdoti, assistenti spirituali e laici che ogni anno si recano al santuario di Massabielle. Questo appuntamento virtuale, moderato da Graziella Moschino, vice presidente di Unitalsi Lombarda, sarà un momento di condivisione con tutte le persone che quotidianamente recitano il santo Rosario trasmesso da Lourdes.
In attesa di poterci vedere e parlare tra noi ti aspettiamo con affetto,
+ don Roberto Graziella
Join Zoom Meeting
https://us02web.zoom.us/j/85600038484
Meeting ID: 856 0003 8484
Unitalsi: il volontariato nel tempo della pandemia su Radio Mater
Domenica 8 novembre, alle ore 18,15, Radio Mater apre le proprie frequenze all’appuntamento mensile con l’Unitalsi. L’emittente, che inaugurò le trasmissioni l’11 febbraio 1994 proprio nel giorno dedicato alla Madonna di Lourdes, nacque su invito della Chiesa, come seconda realtà radiofonica, dopo la prima esperienza fondante di Radio Maria.
Da oltre sei anni l’Unitalsi, Sezione Lombarda, mensilmente è presente con una propria rubrica dal titolo “Per Maria a Gesù”, una trasmissione mariana di fede e testimonianza a cura di Adriano Muschiato e condotta da Vittore De Carli.
Domenica prossima il filo conduttore sarà Essere volontari in tempo di Covid in attesa di tornare a Lourdes l’esperienza dei volontari sul territorio lombardo, in particolare nella diocesi di Cremona e di Milano, attraverso la testimonianza dei presidenti Tiziano Guarneri e Giuseppe Secondi che racconteranno ai radioascoltatori di Radio Mater l’impegno che l’Unitalsi può dare anche in tempo di pandemia. Spiritualità in tempo di Covid è il tema che svilupperà S.Ecc.za mons. Luigi Bressan, vescovo emerito di Trento e assistente nazionale dell’Unitalsi: con lui analizzeremo le aspettative per l’Associazione. Lourdes, ancora una volta i pellegrinaggi vengono rinviati: idealmente andremo alla Grotta di Massabielle con padre Nicola Ventriglia, responsabile dei cappellani italiani. Non mancherà la presentazione dei recenti pellegrinaggi virtuali che ogni settimana le sottosezioni propongono sul canale YouTube della sezione lombarda, iniziativa nata da un’idea di Graziella Moschino, vice presidente regionale.
Spazio aperto poi alle telefonate degli ascoltatori che vogliono intervenire portando il proprio contributo al dialogo. Un’occasione per dare voce alle esperienze associative, a chi vive la realtà della malattia o della disabilità, a chi si trova ad affrontare il tempo della solitudine e della sofferenza, e insieme il tempo dell’amicizia, dell’aiuto fraterno, della gratuità che si fa dono e si riceve come dono. Il contributo degli ascoltatori è fondamentale per calare nella vita quotidiana di ogni persona gli ideali unitalsiani e vedere come si concretizzano nei vari tipi di servizio che i volontari svolgono oggi.
È possibile seguire la trasmissione dalle frequenze di Radio Mater e via internet su www.radiomater.org
Read MoreLoreto: vivere un pellegrinaggio giubilare in tempo di covid
Domenica 11 ottobre alle ore 18,15 Radio Mater apre le proprie frequenze all’appuntamento mensile con l’Unitalsi. L’emittente, che inaugurò le trasmissioni l’11 febbraio 1994 proprio nel giorno dedicato alla Madonna di Lourdes, nacque su invito della Chiesa, come seconda realtà radiofonica, dopo la prima esperienza fondante di Radio Maria.
Da oltre sei anni l’Unitalsi, Sezione Lombarda; mensilmente è presente con una propria rubrica dal titolo “Per Maria a Gesù”. Una trasmissione mariana di fede e testimonianza a cura di Adriano Muschiato.
Domenica 11 ottobre il filo conduttore sarà Loreto, vivere un pellegrinaggio giubilare in tempo di covid, l’esperienza di un pellegrinaggio appena concluso nella città delle Marche che custodisce la più grande reliquia mariana, la “Santa Casa”, si racconterà ai radioascoltatori di Radio Mater grazie alle testimonianze di S.Ecc.za mons. Giuseppe Merisi, vescovo emerito di Lodi, che ha guidato la parte spirituale del recente viaggio. Conosceremo padre Janvier, voce del pellegrinaggio giubilare che accoglie i pellegrini per il passaggio alla Porta Santa. Con lui ripercorreremo i momenti più importanti della nostra vita, dal rito del battesimo al cammino di vita del cristiano. Inoltre ascolteremo alcune testimonianze dei partecipanti. Non mancherà la presentazione dei recenti pellegrinaggi virtuali che ogni settimana le sottosezioni della Lombardia propongono sul canale youtube della sezione lombarda nata da un’idea di Graziella Moschino, vice presidente regionale.
Spazio aperto poi alle telefonate degli ascoltatori che vogliono intervenire portando il proprio contributo al dialogo. Un’occasione per dare voce alle esperienze associative, a chi vive la realtà della malattia o della disabilità, a chi si trova ad affrontare il tempo della solitudine e della sofferenza, e insieme il tempo dell’amicizia, dell’aiuto fraterno, della gratuità che si fa dono e si riceve come dono. Il contributo degli ascoltatori è fondamentale per calare nella vita quotidiana di ogni persona gli ideali unitalsiani e vedere come si concretizzano nei vari tipi di servizio che i volontari svolgono oggi.
È possibile seguire la trasmissione dalle frequenze di Radio Mater e via internet su Radio Mater Online.
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